Voglio ritornare a quel senso di solitudine che molti vivono, sperando che prima o poi nella propria vita accada qualcosa di straordinario che la riempia e che li renda finalmente felici e completi.
Uno dei desideri più intimi è quello di poter essere sicuri che al rientro a casa si possa essere accolti da un caloroso abbraccio.
Perché l’abbraccio è un contenitore affettivo che attiva il sistema di sicurezza e conforto.
Quando si vive una situazione destabilizzante vogliamo parlarne e condividerla con qualcuno e la ricerca dell’abbraccio è una delle spinte alla quale potersi abbandonare.
Stare bene con un’altra persona, sentirsi capiti e accolti nel problema che si sta vivendo è rassicurante.
Quello che accade è che la gran parte delle volte l’abbraccio sembra non appartenere più alla "consuetudine di un’età adulta" e spesso se ne ha timore, crea imbarazzo o addirittura vergogna, sia nel darlo che nel riceverlo.
Tutto questo è racchiuso all’interno del nostro apprendimento comportamentale.
Durante la nostra crescita ognuno di noi riceve degli insegnamenti dettati da "norme genitoriali”, per cui impara che certe cose vanno bene e altre meno bene, che certe cose vanno fatte e altre no, che puoi essere giudicato più o meno bravo a seconda di quello che fai o non fai e che determinati aspetti emozionali non vadano né esternati né accolti.
Un po’ come il pianto di un bambino, quante volte abbiamo sentito dire: “perché piangi adesso? Non c’è bisogno di piangere”?
Non so se faccia più paura stare con il pianto del bambino, o il fatto stesso che molti adulti non si sono dati a loro volta la possibilità di piangere e che quindi non avendone fatto esperienza, si trovino persi e non sappiano che cosa stia accadendo.
Quante difficoltà si incontrano nel darsi la possibilità di condividere il nostro dolore o di contenere il dolore dell’altro attraverso il contatto fisico?
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