lunedì 12 gennaio 2015

I "danni" del non detto


Sono sempre più convinta che il non detto provochi dei terribili risultati anche tra due persone che si conoscono moltissimo, o almeno pensano di conoscersi.

Quante volte vi è capitato di dire o di sentirvi dire: “pensavo l’avessi capito!”?

Quante altre: “è palese; ci ho pensato io, l’avresti dovuto fare anche tu”
Ancora:”Hai visto che avevo da fare e non mi hai aiutato, si vede che non ti importa nulla”

Tutto senza nessun tipo di comunicazione esplicita!!!

Sorrido, perché penso che molti di voi si siano ritrovati a dire o sentirsi dire le affermazioni appena descritte.

Be ci caschiamo tutti nel “tranello della comunicazione” spinti dal profondo desiderio di essere riconosciuti e visti, considerati.

Quante volte ci aspettiamo che l’altro faccia, senza chiedere ciò che desideriamo? 
E quante volte quando non vengono soddisfatte le nostre aspettative pensiamo che l’altro sia poco attento nei nostri confronti?
O quante promesse vengono fatte senza mettere in chiaro ciò che vogliamo e desideriamo, pensando che l’altro capirà e cambierà???

Quante volte chiediamo una cosa per stimolare un altro tipo di reazione? 
Questo significa attivare due canali comunicativi, quello sociale e quello psicologico, quest'ultimo sottende una richiesta diversa da quella che viene esplicitata. Quindi noi chiediamo verbalmente una cosa ma psicologicamente ne desideriamo un'altra. 
Perché è più importante non chiedere che chiedere?
Siamo davvero più convinti che se l'altro agisce senza una richiesta esplicita è più significativo di quando invece gli viene chiesto?
E perché?

In realtà abbiamo da domandarci, chi siamo noi per leggere nella mente e nel cuore dell’altro? 
E chi sono gli altri per leggere nella nostra mente, tanto da sapere ciò che vogliamo esattamente?
E così nascono le incomprensioni, talvolta si interrompono rapporti e si ritorna un po’ bambini, mettendo il broncio ed aspettando che l’altro faccia il primo passo. 

Partendo dal presupposto che nessuno ha la sfera magica con sé proviamo a pensare:
cosa cambierebbe se, chiedessimo ciò di cui abbiamo bisogno e ascoltassimo l’altro? 
Cosa cambierebbe se, tenessimo conto delle nostre emozioni, imparassimo a gestirle e facessimo ciò che desideriamo fare o dicessimo ciò che desideriamo dire? 
E cosa cambierebbe se tenessimo conto delle emozioni dell’altro?

Comunicare significa mettere in comune, far partecipe una o più persone di ciò che stiamo dicendo, quindi se ci aspettiamo qualcosa dallaltro senza chiederglielo, non stiamo comunicando e stiamo correndo il rischio che laltro possa anche non capire.
Dobbiamo tenere in mente tre punti fondamentali:
Non si può non comunicare, ognuno di noi, in qualsiasi momento sta comunicando all’altro qualcosa, anche quando sta in silenzio. Si comunica attraverso il corpo, con la postura, la vicinanza o la lontananza, attraverso i gesti e le espressioni facciali, attraverso il tono della voce, il timbro e il tipo di parole che vengono utilizzate.
Il significato della comunicazione non risiede nell’intenzione ma nel risultato; nonostante le nostre buoni intenzioni dunque, quello che è importante è il risultato e la comunicazione è il mezzo che abbiamo a disposizione. La comunicazione ha sia un aspetto di contenuto che un aspetto di relazione, a seconda della persona con cui stiamo parlando abbiamo da modulare il nostro stile comunicativo anche se il contenuto è lo stesso.  
Terzo punto la mappa non è il territorio.  Cosa vuol dire?
Se io ora vi dico di pensare ad un tavolo, ognuno di voi lo immaginerà a proprio modo, chi lo immaginerà tondo, chi quadrato, chi marrone, chi bianco, chi in plastica, chi in legno; 
Quindi, se vogliamo avere un buon risultato, dobbiamo essere più descrittivi possibile, in modo tale che l’altro possa avere l’immagine più vicina a quella che abbiamo noi.

Molto spesso accade che ciò che si vuole dire, è diverso da ciò che si dice, da ciò che l’altro sente, da ciò che l’altro ascolta e da ciò che l’altro comprende.

Se vogliamo essere certi che l’altra persona abbia compreso ciò che vogliamo dire, potrebbe essere utile verificare, chiedere se ha compreso, cosa ne pensa e come si sente rispetto a quanto detto.
Dunque essere descrittivi e verificare ciò che viene detto, è molto utile per una comunicazione efficace, che vada più velocemente e con più semplicità verso l’obiettivo che vogliamo raggiungere, ed in questo modo siamo tranquilli del fatto che l’altro abbia capito e sappiamo con certezza ed in che modo prenderci le nostre responsabilità. 

È sempre buono pensare con i dati di realtà, quindi con ciò che sappiamo perché l'altro ce l'ha comunicato chiaramente, non con ciò che interpretiamo, perché lì entrano in gioco altri meccanismi che appartengono a noi ed al nostro desiderio che non é stato soddisfatto o alle nostre paure che fanno parte della nostra storia.

Comunicare significa anche saper ascoltare, ascoltare in maniera attiva, mostrare interesse, quindi dimostrare che si comprende quanto è accaduto e verificare il risultato. 
A seconda della persona che abbiamo davanti, possiamo aiutarla ad essere più consapevole di ciò che sente e mostrarle interesse anche per le sue emozioni.

Mentre comunichiamo con un’altra persona, infatti, proviamo delle emozioni e a sua volta il nostro interlocutore ne proverà delle altre stimolate dalla conversazione che è in atto. 
Le emozioni dipendono dal modo in cui ognuno di noi valuta e interpreta gli stimoli, da come questi vengono elaborati in riferimento al proprio vissuto. 
Ognuno di noi fa riferimento alla propria storia e a ciò che ha appreso nella propria vita. Attraverso il sistema che noi abbiamo costruito diamo significato a ciò che ci accade. 
Anche l’impatto emotivo di ciò che ci dice l’altro è strettamente collegato alla nostra storia e a ciò che noi pensiamo di noi stessi. 

Le risposte che noi diamo sono strettamente collegate alla valutazione che noi facciamo dell’evento. 
Le emozioni fanno dunque parte della nostra vita del nostro quotidiano, quello che possiamo fare non è eliminarle, sarebbe impossibile, ma riconoscerle averne consapevolezza ed imparare a gestirle. 
Questa è  quella che viene definita intelligenza emotiva
Nel momento in cui noi abbiamo consapevolezza del perché a determinati stimoli proviamo determinate emozioni le possiamo riconosce, gestire e fare esperienze differenti evitando di dare delle risposte impulsive dettate dall'emozione del momento.

Lintelligenza emotiva: “Essa riguarda l’alfabeto emozionale, le capacità fondamentali del cuore come l’autocontrollo, la perseveranza, la capacità di automotivarsi. L’uomo possiede la capacità di utilizzare le proprie passioni, per controllare altre passioni aprendo uno spazio simbolico, linguistico e comunicativo che lo sottrae al cortocircuito della risposta automatica” Raniero Regni.

“La chiave per scandagliare i nostri processi decisori personali è quella di essere in sintonia con i nostri sentimenti” Raniero Regni.

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