sabato 17 gennaio 2015

Perché è importante dire la verità ai bambini?


Cosa accade quando si deve dare una notizia spiacevole o dolorosa a un bambino che riguarda la famiglia, legata per esempio a lutti o separazioni?
Perché è cosi complesso parlare con un bambino?
Perché ci si affatica per trovare la “scusa” adatta, si inventano le storie più improponibili pur di non dire la verità?
Cosa succede dentro di noi quando dobbiamo comunicare con un bambino?

Anche qui è imbarazzante, o forse scomodo, perché per comunicare con un bambino dobbiamo contattare quella parte di noi bambina, con i nostri desideri bambini, che chissà magari a suo tempo non sono stati accolti e a modo nostro ci siamo difesi, convinti fosse la soluzione migliore.

Ritorno ai famosi sentimenti che il più delle volte vogliamo allontanare a tutti i costi, ma che in realtà fanno parte del nostro mondo e se non sono ben gestiti possono essere generatori di "gravi danni" in particolare con un bambino.

Spesso, si pensa che è più facile dire una bugia a fin di bene, che una scomoda verità.

Ma con i bambini, ahimè vi devo confessare non è così!!!

Normalmente, due sono le motivazioni principali che spingono gli adulti a non dire la verità:
una è quella di pensare che il bambino sia ancora troppo piccolo per comprendere ciò che sta accadendo;
l’altra appartiene alla convinzione che la verità possa creare una sofferenza maggiore e che il bambino nel peggiore dei casi ne possa rimare traumatizzato.
Perché dargli questo dolore? C’è tempo!

Ma se ci pensiamo bene, il tempo lo stiamo dando al bambino, o lo stiamo prendendo noi con la speranza che il bambino si dimentichi e il problema passi inosservato?

Queste le chiamo “soluzioni tampone” in quanto servono a tamponare una  difficoltà che hanno i grandi di dover mettere mano a ciò che sta accadendo e di essere in primo luogo sinceri con loro stessi!

I bambini capiscono molto di più di quello che si possa immaginare, sono attenti osservatori, immagazzinano tutto ciò che vedono, sentono e fanno e sono capaci di riutilizzarlo dopo diverso tempo. 

Nello stesso modo con cui osservano, pensano! sono curiosi sostenitori della verità.
Se avete la fortuna di parlare con un bambino vi chiederà infinite volte "perché?", non si stancherà mai, o forse si stancherà quando capirà che non potete dargli le risposte che cerca e allora si sposterà e andrà a cercare da un’altra parte, ma non si dimenticherà!

Avete mai provato ad osservare un bambino mentre gioca? Ripropone lo stesso gioco più e più volte perché deve capire, perché per il bambino il gioco è vita, il gioco è una cosa seria! Tutto ciò che accade attorno a lui è molto serio!

Avete mai visto gli occhi di un bambino mentre guarda il proprio papà o la propria mamma?
Avete mai guardato un bambino mentre li ascolta?

Fatelo!!! Rimarrete incantati dall’attenzione con la quale li osserva ed elabora tutto ciò che accade, anche ciò che non viene detto… ma lo elabora a modo suo se non gli vengono date le giuste spiegazioni, se non gli viene detta la verità, perché capisce che c’è un’incongruenza tra ciò che gli è stato comunicato e ciò che realmente accade attorno a lui, anche a livello non verbale. 
Così l’intento di proteggere si trasforma in qualcosa di negativo che avrà un’intensità più o meno grave a seconda della situazione vissuta.

Perché è importante dire la verità? Le prime persone con le quali i bambini instaurano una relazione sono i genitori, con i genitori dunque fanno la prima esperienza di contatto, calore, accudimento, fiducia, rispetto e lealtà. Gli adulti sono le figure che hanno la possibilità di spiegare ai bambini a comprendere ciò che accade attorno a loro, sia dal punto di vista fisico, ma anche e soprattutto dal punto di vista emotivo.
Rapportarsi con un bambino è una grande possibilità di scoperta, si può ri imparare che non è funzionale reprimere le emozioni per superare una situazione dolorosa, ma che le emozioni esistono, si possono riconoscere e gestire davanti ad una difficoltà.

È importante insegnare loro che si può soffrire e che si può essere arrabbiati e che non si è “sbagliati” o più “deboli” se si soffre.

Spiegate loro che i grandi possono anche sbagliare, che possono stare male e che spesso non hanno le risposte a tanti perché, ma che si possono scoprire insieme… vi ameranno così come siete e impareranno ad amare loro stessi negli errori e nel non sapere e comprenderanno che ad ogni difficoltà c’è sempre una soluzione e che non è necessario ricorrere alla bugia o alla negazione della propria emotività!

Provate ad immaginare che cosa potrebbe succedere ad un bambino se si sentisse tradito proprio dalle persone di cui si fida di più, che rappresentano per lui la guida, la direzione, sono i suoi super eroi.

Pensate a che cosa potrebbe accadere ad un bambino se scoprisse da un’altra persona che quello che gli ha detto mamma o papà non è vero e che è un’altra la verità! Forse si sentirà confuso e perso, non capirà perché mamma e papà hanno scelto di non dirgli la verità.

La cosa principale è quella di dimostrare al bambino che noi adulti per primi siamo in grado di affrontare le difficoltà e di gestire le emozioni che si presentano, non di reprimerle.
Ricordiamoci sempre che nella maggior parte dei casi il timore che hanno gli adulti nel parlare con i bambini deriva dalla loro incapacità ad elaborare quello che sta accadendo.

Stare accanto ad un bambino è un modo per ri imparare con loro, per darvi la possibilità di mettere mano a ciò che accade dentro di voi, prendetevi cura delle vostre difficoltà, non lasciate che se ne prenda cura un bambino!!!

"Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere" (Gilbert Keith Chesterton)


"Tutti i grandi sono stati bambini una volta ma pochi di essi se ne ricordano." (Antoine de Saint-Exupéry)

lunedì 12 gennaio 2015

I "danni" del non detto


Sono sempre più convinta che il non detto provochi dei terribili risultati anche tra due persone che si conoscono moltissimo, o almeno pensano di conoscersi.

Quante volte vi è capitato di dire o di sentirvi dire: “pensavo l’avessi capito!”?

Quante altre: “è palese; ci ho pensato io, l’avresti dovuto fare anche tu”
Ancora:”Hai visto che avevo da fare e non mi hai aiutato, si vede che non ti importa nulla”

Tutto senza nessun tipo di comunicazione esplicita!!!

Sorrido, perché penso che molti di voi si siano ritrovati a dire o sentirsi dire le affermazioni appena descritte.

Be ci caschiamo tutti nel “tranello della comunicazione” spinti dal profondo desiderio di essere riconosciuti e visti, considerati.

Quante volte ci aspettiamo che l’altro faccia, senza chiedere ciò che desideriamo? 
E quante volte quando non vengono soddisfatte le nostre aspettative pensiamo che l’altro sia poco attento nei nostri confronti?
O quante promesse vengono fatte senza mettere in chiaro ciò che vogliamo e desideriamo, pensando che l’altro capirà e cambierà???

Quante volte chiediamo una cosa per stimolare un altro tipo di reazione? 
Questo significa attivare due canali comunicativi, quello sociale e quello psicologico, quest'ultimo sottende una richiesta diversa da quella che viene esplicitata. Quindi noi chiediamo verbalmente una cosa ma psicologicamente ne desideriamo un'altra. 
Perché è più importante non chiedere che chiedere?
Siamo davvero più convinti che se l'altro agisce senza una richiesta esplicita è più significativo di quando invece gli viene chiesto?
E perché?

In realtà abbiamo da domandarci, chi siamo noi per leggere nella mente e nel cuore dell’altro? 
E chi sono gli altri per leggere nella nostra mente, tanto da sapere ciò che vogliamo esattamente?
E così nascono le incomprensioni, talvolta si interrompono rapporti e si ritorna un po’ bambini, mettendo il broncio ed aspettando che l’altro faccia il primo passo. 

Partendo dal presupposto che nessuno ha la sfera magica con sé proviamo a pensare:
cosa cambierebbe se, chiedessimo ciò di cui abbiamo bisogno e ascoltassimo l’altro? 
Cosa cambierebbe se, tenessimo conto delle nostre emozioni, imparassimo a gestirle e facessimo ciò che desideriamo fare o dicessimo ciò che desideriamo dire? 
E cosa cambierebbe se tenessimo conto delle emozioni dell’altro?

Comunicare significa mettere in comune, far partecipe una o più persone di ciò che stiamo dicendo, quindi se ci aspettiamo qualcosa dallaltro senza chiederglielo, non stiamo comunicando e stiamo correndo il rischio che laltro possa anche non capire.
Dobbiamo tenere in mente tre punti fondamentali:
Non si può non comunicare, ognuno di noi, in qualsiasi momento sta comunicando all’altro qualcosa, anche quando sta in silenzio. Si comunica attraverso il corpo, con la postura, la vicinanza o la lontananza, attraverso i gesti e le espressioni facciali, attraverso il tono della voce, il timbro e il tipo di parole che vengono utilizzate.
Il significato della comunicazione non risiede nell’intenzione ma nel risultato; nonostante le nostre buoni intenzioni dunque, quello che è importante è il risultato e la comunicazione è il mezzo che abbiamo a disposizione. La comunicazione ha sia un aspetto di contenuto che un aspetto di relazione, a seconda della persona con cui stiamo parlando abbiamo da modulare il nostro stile comunicativo anche se il contenuto è lo stesso.  
Terzo punto la mappa non è il territorio.  Cosa vuol dire?
Se io ora vi dico di pensare ad un tavolo, ognuno di voi lo immaginerà a proprio modo, chi lo immaginerà tondo, chi quadrato, chi marrone, chi bianco, chi in plastica, chi in legno; 
Quindi, se vogliamo avere un buon risultato, dobbiamo essere più descrittivi possibile, in modo tale che l’altro possa avere l’immagine più vicina a quella che abbiamo noi.

Molto spesso accade che ciò che si vuole dire, è diverso da ciò che si dice, da ciò che l’altro sente, da ciò che l’altro ascolta e da ciò che l’altro comprende.

Se vogliamo essere certi che l’altra persona abbia compreso ciò che vogliamo dire, potrebbe essere utile verificare, chiedere se ha compreso, cosa ne pensa e come si sente rispetto a quanto detto.
Dunque essere descrittivi e verificare ciò che viene detto, è molto utile per una comunicazione efficace, che vada più velocemente e con più semplicità verso l’obiettivo che vogliamo raggiungere, ed in questo modo siamo tranquilli del fatto che l’altro abbia capito e sappiamo con certezza ed in che modo prenderci le nostre responsabilità. 

È sempre buono pensare con i dati di realtà, quindi con ciò che sappiamo perché l'altro ce l'ha comunicato chiaramente, non con ciò che interpretiamo, perché lì entrano in gioco altri meccanismi che appartengono a noi ed al nostro desiderio che non é stato soddisfatto o alle nostre paure che fanno parte della nostra storia.

Comunicare significa anche saper ascoltare, ascoltare in maniera attiva, mostrare interesse, quindi dimostrare che si comprende quanto è accaduto e verificare il risultato. 
A seconda della persona che abbiamo davanti, possiamo aiutarla ad essere più consapevole di ciò che sente e mostrarle interesse anche per le sue emozioni.

Mentre comunichiamo con un’altra persona, infatti, proviamo delle emozioni e a sua volta il nostro interlocutore ne proverà delle altre stimolate dalla conversazione che è in atto. 
Le emozioni dipendono dal modo in cui ognuno di noi valuta e interpreta gli stimoli, da come questi vengono elaborati in riferimento al proprio vissuto. 
Ognuno di noi fa riferimento alla propria storia e a ciò che ha appreso nella propria vita. Attraverso il sistema che noi abbiamo costruito diamo significato a ciò che ci accade. 
Anche l’impatto emotivo di ciò che ci dice l’altro è strettamente collegato alla nostra storia e a ciò che noi pensiamo di noi stessi. 

Le risposte che noi diamo sono strettamente collegate alla valutazione che noi facciamo dell’evento. 
Le emozioni fanno dunque parte della nostra vita del nostro quotidiano, quello che possiamo fare non è eliminarle, sarebbe impossibile, ma riconoscerle averne consapevolezza ed imparare a gestirle. 
Questa è  quella che viene definita intelligenza emotiva
Nel momento in cui noi abbiamo consapevolezza del perché a determinati stimoli proviamo determinate emozioni le possiamo riconosce, gestire e fare esperienze differenti evitando di dare delle risposte impulsive dettate dall'emozione del momento.

Lintelligenza emotiva: “Essa riguarda l’alfabeto emozionale, le capacità fondamentali del cuore come l’autocontrollo, la perseveranza, la capacità di automotivarsi. L’uomo possiede la capacità di utilizzare le proprie passioni, per controllare altre passioni aprendo uno spazio simbolico, linguistico e comunicativo che lo sottrae al cortocircuito della risposta automatica” Raniero Regni.

“La chiave per scandagliare i nostri processi decisori personali è quella di essere in sintonia con i nostri sentimenti” Raniero Regni.

domenica 11 gennaio 2015

Siamo tutti amabili!!


Siamo tutti amabili.
L' Amore non si basa su un ricatto: ti voglio bene a condizione che, o tu sei amabile a condizione che.
Tutti abbiamo la possibilità di essere amati per ciò che siamo, non per ciò che facciamo!
Tutti abbiamo diritto ad essere liberi di essere noi stessi!

giovedì 8 gennaio 2015

L'eloquenza muta di un gesto: l'Ascolto


 Che cosa accade quando ci ritroviamo accanto ad una persona che soffre?
Quali strategie mettiamo in atto? 
Sembra strano ma è molto più semplice stare con il nostro dolore che con quello degli altri!! 
Con noi sappiamo come comportarci, come gestirci, ma non sappiamo cosa fare quando l’altro soffre! 
spesso ci ritroviamo ad attivarci con l’intento di far piacere, per fare qualcosa di inaspettato in modo tale da sentirci utili,  o all’opposto, ci allontaniamo totalmente dalla situazione. 

In entrambe i casi, si cerca di mettere distanza. L’importante è non entrare in contatto emotivo.
Vi siete mai chiesti il perché?
Perché è così complesso stare accanto ad una persona che soffre?
Perché fa così paura?
            Avete mai provato ad Ascoltare?
Non parlo soltanto di ascolto in senso stretto del termine, ma parlo anche di ascolto “osservante e comunicante".
            Avete mai provato a condividere del tempo in silenzio con una persona?
Una persona che soffre ha bisogno di vicinanza e comprensione di ciò che le sta accadendo, ha bisogno di sentirsi accolta nel peso che essa stessa sta dando all’accaduto. Con questo intendo dire, che ognuno di noi è unico e ha diritto ad esprimere con la propria intensità e unicità il dolore che sta provando. 
Ognuno di noi, viene stimolato in qualcosa che può essere più o meno doloroso a seconda del tipo di vissuto. 
Nessuno dunque, a parità di perdita, può decidere con che intensità e in che tempi debba superare o elaborare il dolore l’altra persona. 
Nel momento in cui c’è questa richiesta abbiamo da fare i conti con noi stessi e capire come mai è così difficile per noi sostenere il dolore dell’altro!! 
Stare in Ascolto è un’arte che si può sviluppare e soprattutto è un mezzo di comunicazione che tutti possediamo! 
e sì, Ascoltare vuol dire saper comunicare!! 
sedersi accanto ad una persona mentre questa piange, o ci parla del proprio dolore all’infinito, vuol dire saper ascoltare in maniera “osservante” ciò che sta vivendo l’altro e saper comunicare che la comprendiamo nel suo dolore, che è unico. 
Non abbiamo potere nei confronti dell’altro e non possiamo cambiare la situazione, ma possiamo comprenderla e non c’è altro modo che la 
vicinanza empatica, 
l’Ascolto empatico. 
L’empatia è la capacità di entrare in contatto con lo stato dell’altra persona senza farsene carico. 
Non significa sostituirsi all’altro, ma significa entrare in contatto con l’altro, 
non significa fare per l’altro, ma significa comprendere l’altro, sostenere l’altro con la vicinanza affettiva. 
Spesso nel fare per l’altro si rischia di mettere in atto un processo di svalutazione di quello che l’altra persona sta vivendo. Questo, accade in maniera inconsapevole e del tutto spontanea, proprio perché c’è un profondo desiderio che quel dolore si plachi il prima possibile.
Spesso sentiamo dire: “meglio adesso che dopo” (a chi soffre l’ordine temporale non aiuta), "non sei il solo o la sola” (ognuno è unico nel proprio dolore), "stai ancora così?” (ognuno deve essere rispettato nel proprio tempo), “almeno tu…”, "ci sono cose più gravi” (tali frasi svalutano il problema dell’altro). 
Datevi la possibilità di fare esperienza nell’Ascoltare chi vi sta accanto in maniera empatica!!
datevi la possibilità  di prendervi cura di quello che sta accadendo dentro di voi, perché la realtà è che 
stare accanto all’altro è una scelta vulnerabile, 
nel far entrare il dolore dell’altro io ho da fare i conti con ciò che sta stimolando in me quel dolore. 
Stare in silenzio accanto ad una persona che soffre è molto complesso, ma ci dà la possibilità di entrare in contatto con l’altro e di accompagnarlo nel proprio dolore, 
ci dà la possibilità di entrare in contatto con noi. 
          Non abbiate timore, provate a fermarvi e ad ascoltarvi!
“Raramente una risposta può migliorare le cose.” 
 “A volte è meglio affidarsi all'eloquenza muta di un gesto, a quella fede senza parole che non predica, ma pratica ciò che ritiene più importante." (Raniero Regni )
"Quando l'orecchio si affina diventa un occhio.” (Rumi, poeta e mistico persiano del XIII secolo)


"Se ai bambini capita spesso di comunicare senza parlare, agli adulti può capitare addirittura di parlare senza comunicare. Come sostiene il personaggio della Volpe, nel Piccolo Principe di Saint - Exupéry, se è vero che si vede bene solo con il cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi, allora le parole possono essere fonte di malintesi. Per cui a volte è meglio affidarsi all'eloquenza muta di un gesto, a quella fede senza parole che non predica, ma pratica ciò che ritiene più importante."



- Raniero Regni -

mercoledì 7 gennaio 2015

I desideri del Bambino



Quanti desideri insoddisfatti porta avanti un bambino?
Questi stessi desideri che forma assumono in età adulta? 

martedì 6 gennaio 2015

L'abbraccio: un sistema di sicurezza che fa paura









Voglio ritornare a quel senso di solitudine che molti vivono, sperando che prima o poi nella propria vita accada qualcosa di straordinario che la riempia e che li renda finalmente felici e completi. 


Uno dei desideri più intimi è quello di poter essere sicuri che al rientro a casa si possa essere accolti da un caloroso abbraccio. 


Perché l’abbraccio è  un contenitore affettivo che attiva il sistema di sicurezza e conforto.


Quando si vive una situazione destabilizzante vogliamo parlarne e condividerla con qualcuno e la ricerca dell’abbraccio è una delle spinte alla quale potersi abbandonare. 


Stare bene con un’altra persona, sentirsi capiti e accolti nel problema che si sta vivendo è rassicurante. 


Quello che accade è che la gran parte delle volte l’abbraccio sembra non appartenere più alla "consuetudine di un’età adulta" e spesso se ne ha timore, crea imbarazzo o addirittura vergogna, sia nel darlo che nel riceverlo. 


Tutto questo è racchiuso all’interno del nostro apprendimento comportamentale.


Durante la nostra crescita ognuno di noi riceve degli insegnamenti dettati da "norme genitoriali”, per cui impara che certe cose vanno bene e altre meno bene, che certe cose vanno fatte e altre no, che puoi essere giudicato più o meno bravo a seconda di quello che fai o non fai e che determinati aspetti emozionali non vadano né esternati né accolti.



Un po’ come il pianto di un bambino, quante volte abbiamo sentito dire: “perché piangi adesso? Non c’è bisogno di piangere”? 


Non so se faccia più paura stare con il pianto del bambino, o il fatto stesso che molti adulti non si sono dati a loro volta la possibilità di piangere e che quindi non avendone fatto esperienza, si trovino persi e non sappiano che cosa stia accadendo. 


Quante difficoltà si incontrano nel darsi la possibilità di condividere il nostro dolore o di contenere il dolore dell’altro attraverso il contatto fisico? 

Avete mai provato a stare all’interno di un abbraccio più di pochi secondi? Eppure un neonato all’interno dell’abbraccio della propria mamma si calma, si addormenta, si culla beato, avvolto dal calore affettivo. 


Siamo nati all’interno di un abbraccio… la sua ricerca è un istinto primitivo che appartiene alle nostre radici più profonde… 

soffermatevi e ascoltatevi!! 

provate a pensare a quante volte avreste voluto, ma non vi siete dati la libertà di abbracciare; 


pensate a quante volte invece l’avete fatto ma non siete riusciti a goderne appieno e che cosa ve lo ha impedito.

Provate a darvi la possibilità di fare questo tipo di esperienza, nella condivisione di un aspetto della vostra vita, con una persona della quale vi fidate! 


perché scatti l’abbraccio ha da svilupparsi un sistema empatico tra due persone, di fiducia e rispetto!


L’abbraccio non è per tutti e da tutti, ma è per tutti quelli che lo desiderano e lo vogliono dare.


Nessuno è troppo grande per un abbraccio. Tutti vogliono un abbraccio. Tutti hanno bisogno di un abbraccio. (Leo Buscaglia)

Un abbraccio vuol dire “Tu non sei una minaccia. Non ho paura di starti così vicino. Posso rilassarmi, sentirmi a casa. Sono protetto, e qualcuno mi comprende”. La tradizione dice che quando abbracciamo qualcuno in modo sincero, guadagniamo un giorno di vita. (Paulo Coelho)


Le promesse vanno mantenute... chiedilo a un bambino!!!


Nel leggere queste pagine di Lorenzo Braina, avevo sempre davanti a me l'immagine di un bambino o forse l'immagine di me bambina...

Leggete e fatevi emozionare


"Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano" 
- Antoine de Saint Exupéry -









Lorenzo Braina "Sono stato bambino"